sabato 27 novembre 2010
Una settimana dedicata alla fagilità
venerdì 19 novembre 2010
Il Cerchio Magico va all'Università
Il Cerchio Magico, diventa grande e va all'Università:
mercoledì 6 ottobre 2010
Diversamente Responsabili
Negli Stati Uniti dopo poco tempo che sei nato, quando ti alzi e cominci ad esplorare il mondo cominciano a succedere cose strane per noi italiani. Nessuno ti da la mano per attraversare la strada, ti invitano ad andare seguendoti discretamente da dietro (“impara a farlo da solo”) Nessuno ti dirà quando mangiare e quanto: da solo devi subito cominciare a regolarti, mangerai quando hai fame o voglia, ma ti arrangerai parecchio da solo. Nessuno ti chiederà mai “hai freddo?” e nessuno ti ordinerà di mettere maglie e golfini “che poi prendi freddo e ti viene il raffreddore”. Quando piove ti bagnerai e quando esci dalla piscina, dal mare, dal lago, dalla fontana pubblica fatta apposta per bagnarti (ne sono pieni i parchi), nessuno ti darà un accappatoio. Se serve devi arrangiarti. Crescendo imparerai che le cose non si rompono MAI da sole (vedi post precedenti), qualsiasi cosa si rompa, qualcuno l'ha rotta. Poi comincerai ad andare a scuola. Qui ti dovrai organizzare da solo (già alle elementari). Ti faranno continuamente i complimenti per quello che hai imparato, soprattutto prima e dopo averti fatto notare dove hai sbagliato. Piano piano imparerai che nessuno ti deve dire le cose, tu le devi sapere. Nessuno ti deve informare, tu ti devi documentare, nessuno ti deve avvisare, tu sei l'unico responsabile di quello che fai. Piano piano imparerai che a fare quello che “scusi io non ho capito”, oppure “io non lo sapevo” si può anche finire in galera se non è vero (e a volte anche se è vero). Crescendo ancora, sarai libero, tutto sommato, anche di andartene di casa e vivere per strada se lo scegli, ma sarà difficile sostenere poi che è colpa della società, della famiglia, o di chiunque altro. Sarai libero di essere etero, omo, bi sessuale o qualsiasi altra cosa tu voglia. Insomma alla fine, probabilmente sarai un perfetto americano, molto responsabile e lavoratore, molto preoccupato per il futuro, seguirai tutte le regole e dirai quasi sempre la verità. Perseguirai liberamente e pervicacemente i tuoi sogni, ma sempre rigorosamente da solo. Oltretutto la tua famiglia sarà lontana, molto lontana. É facile che sarai un po' stressato e ogni tanto sognerai di abbandonare tutto e andare da qualche altre parte del mondo (magari in Italia). Dimenticavo probabilmente sarai piuttosto in carne se non obeso e berrai tante ma proprio tante bibite gassate ma correrai continuamente in tutti tuoi bellissimi parchi. Forse voterai conservatore, forse progressista ma le differenze saranno poche. Alla fine quando cambierà qualcosa sarà sempre a partire da questioni economiche. | In Italia, dopo un po' che sei nato anche qui incominci a esplorare il mondo, e allo stesso modo succedono cose che suonano strane per gli americani. C'è un sacco di gente che ti porta, ti prende per mano, ti copre e ti scopre, ti dà da mangiare e se non mangi non è mai perchè non hai fame. Poi cominci a crescere ma c'è sempre qualcuno che veglia su di te, ti accompagna, ti cura, ti solleva e dopo un po' ti scusa anche di fronte al mondo per le piccole marachelle che combini (come i bambini di tutto il mondo). “capirà è solo un bambino!”. D'altra parte in Italia la lingua ti aiuta e imparerai subito che ci sono un sacco di cose che “accadono” così quasi per magia: “io? Nooooo, da solo, si è rotto da solo! Poi, molto presto imparai a frignare “uheee, maaaaaaaa! Io voglio quellooooooooo! E la mamma te lo darà Quando comincerai a mangiare insieme agli altri capirai anche che ci sono regole molto complesse e difficili per cui: si mangia sempre alla stessa ora (fame o non fame), si sta a tavola finchè gli adulti lo decidono (anche se ti sei un po' stufo di mangiare e sentirli lamentare di calcio, donne e politica). C'è l'antipasto, un primo, il secondo, il contorno, il dolce il caffè e l'ammazzacaffè. Se invece hai voglia di farli arrabbiare o solamente vuoi attirare l'attenzione basta dire che non vuoi mangiare e allora via di “bastimenti, aerei che volano, all'inizio, poi urli e schiaffoni se continui. É molto riposante crescere in Italia, c'è sempre qualcuno che ti da la mano, ti accompagna se piove e anche se c'è il sole, ti porta la cartella, ti scarrozza tutto il giorno in tutte le attività che devi fare. Ti prepara tutto, dalla merenda, alla borsa per lo sport, allo strumento... perchè tu sarai sempre più sbadato e tenderai a dimenticare sempre tutto. Quando comincierai a lavorare ti chiederai per tutto la vita “ma chi me lo ha fatto fare!” Poi comincerai ad andare a scuola, sempre accompagnato e rassicurato, anzi ti faranno anche un programma di inserimento graduale, non sia mai che il distacco dal tuo nido dovesse essere foriero di traumi da psicoanalista quando sarai grande. A scuola poi avrai un orario preciso e pianificato scientificamente per annoiarti tutta la mattina. Per andare in bagno dovrai fare in modo che ti scappi proprio al momento giusto per non rischiare che l'insegnante ti dica che non ci puoi andare. Quando andrete fuori per una gita potrai fare tutto ma proprio tutto quello che ti viene in mente, tanto la responsabilità sarà sempre dell'insegnante, anche se ormai sei alto un metro e 70. Così comincerai a fare combutta con i tuoi compagni per fregare furbescamente gli insegnanti e fare tutto quello che a scuola è proibito. Giocare a pallone comincerà ad essere la tua aspirazione se sei maschietto, fare la velina in Tv se sei una femminuccia. In ogni caso di lavorare o peggio realizzare sogni non si parla. Imparerai anche che i più ruffiani se la cavano meglio, che ogni tanto fare il tonto conviene e che i furbi spesso vivono meglio che gli onesti. Alla fine anche tu sarai un perfetto italiano, scansa-responsabilità, probabilmente furbo con il culto della buona cucina e della tavola imbandita. In qualche caso sarai un artista o un creativo, allora sarai veramente geniale e pieno di idee. Tutto il mondo invidierà il tuo “dolcefarnulla” ma tu ti lamenterai, sempre, tutti i giorni, di tutto quanto, perchè “governo ladro, oggi piove-non-c'è più la mezzastagione e nonsipuòpiù andare avanti così”. Ma tanto andrai avanti lo stesso. Sarai meno obeso del tuo compare americano e per questo il tuo sport preferito sarà “parlare di calcio”. Se sei un uomo sarai mammone e se sei una donna invece sarai una perfetta manager cresci mammoni Politicamente avrai a disposizione una scelta infinita di partiti che parlano di aria fritta così che tu possa continuare a lamentarti senza rompere troppo le scatole. |
sabato 2 ottobre 2010
Cambiamento, crescita, trasformazione
Vivimos un presente cultural en el que hablamos de crecimiento como si este fuese un valor deseable en sí. ¡Crecer … crecer! ¿Es eso lo que queremos? ¿Queremos que nuestros niños crezcan de manera indefinida? ¿Queremos que la ciudades crezcan de manera Indefinida? ¿Queremos que la población crezca de manera indefina? Existen las palabras monstruo y monstruosidad que hacen referencia a que algo tiene una forma fuera de toda armonía, lo que puede ocurrir por un crecimiento que va más allá de lo que lo hace coherente con la naturaleza de su ser o que distorsiona su forma de modo que su sentido operacional-relacional se pierde. Muchos economistas y políticos hablan de crecimiento como si el crecimiento en sí fuese a resolver nuestras dificultades para generar bien-estar social material y ético en un país. La noción de crecimiento es muy poderosa, pero parece que por si sola no basta, apunta a un proceso de cambio lineal que oculta la naturaleza sistémica-sistémica de la existencia humana. ¿Faltará acaso la noción armonía? Existe otra noción fundamental en el ámbito de la convivencia humana. Esta es la noción de transformación, noción que tiene un carácter muy diferente a la de crecimiento. La noción de crecimiento evoca un proceso intrínsicamente desbordante ya que no muestra desde sí ninguna dinámica relacional que incluya en ella una presencia sistémica que lo detenga. Al revés, la noción de transformación contiene, en la evocación de lo que hace, la atención a la dinámica relacional de su carácter sistémico como un proceso de cambio en torno a algo fundamental que no cambia sino que se conserva a través de los cambios. La noción de crecimiento oculta como, algo obsceno, a las preguntas, ¿hasta cuando? y ¿qué queremos que crezca, y cuanto? Interrogantes éstas que a su vez evocan en otros las preguntas, ¿cómo, duda Ud. del valor del crecimiento? ¿no quiere Ud. que crezcamos? Dejándonos en la tarea de buscar alguna argumentación racional que explique nuestra duda de manera objetiva. Lo fundamental en la noción de transformación es lo que se conserva, y lo que se conserva le da sentido a lo que cambia. La noción de transformación, por lo tanto, trae consigo las preguntas ¿qué es lo que se quiere conservar? y sobre todo, ¿qué queremos conservar? Lo que nos deja de inmediato frente a la tarea de declarar nuestros deseos haciéndonos responsables de ellos. ¿Hasta cuanto queremos crecer? ¿Qué queremos conservar? Lo central de cualquier proceso de cambio, sea éste de crecimiento o transformación es lo que se conserva a través de él, pues en cualquier caso lo que se conserva define lo que puede o no puede cambiar sin destruir lo que se quiere conservar. En general cuando hablamos de los problemas de pobreza, de educación, de salud o de trabajo en nuestro país, o en cualquier país, pensamos que se trata de problemas que se resuelven con crecimiento productivo y económico como si su naturaleza fuese lineal constituidos por situaciones de causa y efecto, aunque sabemos que no es así. El hecho es que rara vez nos detenemos a pensar y actuar responsablemente conscientes de que estos problemas se resolverán sólo si estamos dispuestos a aceptar que su naturaleza sistémica-sistémica nos pide a voces que nos orientemos a generar una transformación coherente de muchas dimensiones operacionales-relacionales de la realización de nuestro convivir social-cultural en torno a la conservación del modo de vivir y convivir ético y democrático que queremos, o decimos que querríamos vivir en nuestro país. El vivir-convivir ético-democrático como un convivir en el que estamos siempre dispuestos a corregir nuestros errores en la realización de ese propósito es una obra de arte que sólo existe en su continua realización si se la vive como una continua realización cotidiana de convivencia social-cultural. | Viviamo un presente culturale nel quale parliamo di crescita come se questa fosse un valore desiderabile in se. Crescere!.... crescere! È questo quello che vogliamo? Vogliamo che i nostri bambini crescano all'infinito? Vogliamo che le nostre città crescano all'infinito? Vogliamo che la popolazione cresca all'infinito? Abbiamo parole come mostro e mostruosità che si riferiscono al fatto che qualcosa ha una forma al di fuori di qualsiasi armonia e questo può accadere con una crescita che va oltre la coerenza con la natura del proprio essere o con una che possa distorcere la sua forma fino a perdere il suo significato operazionale-relazionale. Molti economisti parlano di crescita come essa in sé stessa, possa risolvere le nostre difficoltà di generare un benessere sociale, materiale ed etico in un paese. La nozione di crescita è molto potente, ma sembra che da sola non sia sufficiente, mira ad un processo di cambiamento lineare che nasconde la natura sistemica-sistemica della esistenza umana. Magari manca semplicemente la nozione di armonia? C'è un'altra nozione fondamentale nell'ambito della convivenza umana, la nozione di trasformazione. E' una nozione che ha un caratttere molto diverso da quella di crescita. La nozione di crescita evoca un processo intrinsecamente debordante, poiché non comporta in sé nessuna dinamica relazionale che includa una presenza sistemica in grado di fermare questa crescita. Al contrario la nozione di trasformazione contiene, nell'evocare quello che fa, l'attenzione ad una dinamica relazionale dal carattere sistemico; in quanto processo di cambiamento che si realizza intorno a qualcosa di fondamentale che non cambia, ma che si conserva attraverso i cambiamenti. La nozione di cambiamento nasconde, come qualcosa di osceno, le domande “fino a quando?” e “che cosa vogliamo che cresca?” e “quanto deve crescere? Interrogativi questi che a loro volta evocano altre domande “ma come Lei dubita che dobbiamo crescere? Oppure “Lei non desidera crescere? Lasciandoci il compito di spiegare i nostri dubbi in maniera oggettiva. Ciò che è fondamentale nella nozione di trasformazione è ciò che si conserva e ciò che si conserva dà significato a ciò che cambia. La nozione di trasformazione pertanto porta con sé altre domande: “in che cosa consiste ciò che vogliamo conservare? E soprattutto: Che cosa vogliamo conservare? Questa operazione ci restituisce immediatamente il compito di dichiarare i nostri desideri facendocene immediatamente responsabili. Fino a quando vogliamo crescere? Cosa vogliamo conservare? La questione centrale, in qualsiasi processo di cambiamento, che sia di crescita o di trasformazione, è ciò che si conserva attraverso il cambiamento stesso poiché in ogni caso ciò che si conserva definisce ciò che può o non può cambiare senza distruggere ciò che si vuole conservare. Generalmente quando parliamo di problemi di povertà, educazione, salute o lavoro nel nostro paese o in qualsiasi paese, pensiamo che si tratta di problemi che si risolvono con la crescita produttiva ed economica, come se la loro natura fosse lineare e costituita da una dinamica causa-efffetto, anche se sappiamo perfettamente che così non è. Il fatto è che raramente attuiamo responsabilmente e ci fermiamo a riflettere sul fatto che questi problemi si risolvono solo se siamo disposti ad accettare che la loro natura sistemica-sistemica che ci chiede di orientarci a generare una trasformazione coerente con molte dimensioni operazionali-relazionali che sono costitutive della realizzazione del nostro convivere socio-culturale intorno alla conservazione del modo di convivere etico e democratico che vogliamo o che diciamo di voler vivere nel nostro paese. Il vivere e convivere etico-democratico in quanto convivere nel quale siamo disposti a correggere i nostri errori nella realizzazione di questo proposito è un'opera d'arte che esiste solamente nella sua continua realizzazione purché la si viva in quanto continua realizzazione quotidiana di convivenza socio-culturale |
lunedì 27 settembre 2010
Il grande freddo
In questa terra affacciata su di un altro oceano, mi accorgo, giorno dopo giorno, di vivere in una cultura del “freddo” molto particolare, nonostante Seattle e lo stato di Washington si trovino piuttosto a nord, molto vicino al Canada e i suoi abitanti amino molto i viaggi in luoghi più caldi.
Cominciamo con il frigorifero, è difficile dare valutazioni numeriche, qua ci sono i gradi Farenhait e da noi quelli centigradi e sono due scale diverse. Fatto sta che mi tocca scaldare tutte le verdure se devo mangiarle in insalata; escono dal frigo che sembrano appena appena scongelate; chiedo lumi a Sara: no il frigorifero non è nemmeno al suo massimo di freddo. Non parliamo di berci qualche liquido, latte, acqua, vino che sia. Se non avete gengive e denti di un ragazzino, di bere qualcosa che era nel frigo ve lo scordate.
Poi capita di andare al ristorante. Qui c'è una tradizione curiosa, non appena vi sedete (spesso qualche secondo prima) arriva un addetto specifico che vi riempie un enorme bicchierone di acqua già gelida di suo ed enormi cubi di ghiaccio (bevete pure è gratis e continuerà a riempirvelo ogni volte che ne sorseggiate un po'). Ve lo assicuro anche chiedendo l'acqua senza il ghiaccio, la temperatura supera lo zero solo di quel tanto per mantenerla liquida.
Ricordate, siamo a Seattle, Northwest, qui d'estate comunque caldo non fa e spesso c'è una nebbia pungente che da noi sarebbe “novembrina”
Poi capita di andare al cinema, attenzione qui l'aria condizionata, come in tutti i supermercati e centri commerciali è, di nuovo, gelida e pungente. Il mio primo film in America l'ho visto letteralmente battendo i denti con i miei ridicoli pantaloncini corti e senza golf.
Ma la cosa più curiosa nei miei due mesi di permanenza e studio è il non aver mai sentito (dico mai!) nessuno lamentare problemi di cervicale, colpi della strega, raffreddori o quant'altro all'ordine del giorno in Italia per condizionatori molto meno pesanti.
La mia conclusione è che tecnicamente l'aria condizionata americana deve essere decisamente migliore se non produce nessuno di questi malanni.
Oppure, dato che anche i bambini si bagnano spesso nella bellissima fontana musicale dello Space Needle e in tutti i giochi d'acqua disseminati nei parchi, senza che ci sia all'orizzonte non dico un accappatoio o un telo da bagno, ma neanche l'ombra di una mamma apprensiva ad asciugarli forse davvero l'aria da queste parti rende immuni da “fresconi”, raffreddori e cervicali.
lunedì 20 settembre 2010
I like to walk
Un post in inglese, un compito di scuola, inglese semplice (forse con qualche errore, anche se mi sembra la versione corretta dalle mie Teacher -che saluto! Ciao Ann, Ciao Jenny) su facebook potete anche vedere le foto corrispondenti all'intera camminata.
I like to walk. Now, also, I should walk, because last year I had a stroke. But I love walking.
From my home to my English school it takes just one hour to walk. It is really a day to day discovered of Queen Anne and Fremont neighborhoods, of the curious idiosyncrasies of Seattle people.
I start in the early morning, generally at ten of seven. At this moment the city is still sleeping, except some workers and some people who are walking the dog. The sky usually is gray, maybe a little depressing form me (of course, I live in Italy). Everything is quiet in this moment, but of this quiet “before one an extraordinary chaotic event” as people say in my town (“the calm before the storm”). Something is quiet but, in just a moment,... everything will be moving.
Every day I walk up the hill of Queen Anne (of course, in Seattle I living in lower Queen Anne, in my girlfriend's studio apartment) and I cross the whole neighborhood walking on the Queen Anne Ave.
Every day I discover new idiosyncrasies of the people who live there. I met every day a lot of people who talk with themselves! Really! I don't know, maybe in Seattle there isn't a good mental health services or, maybe, the life in this city is very stressful!
Other interesting discoveries are the particular “electric” landscapes. In particular, because they are very different from my country. In the US they have a lot of electric cables, a lot of kind of electric cables and they cross the sky in many directions: it is a kind of chaotic. This combination of the wooden utility pole and chaotic cables, build in the summer sky a particular and amazing “electro-scapes” with the nice houses of Queen Anne in the back.
After going down the hill and the nice view you can see, I take my entrance in Fremont to cross that old bascule-bridge. Some time the bridge is open. In this case the traffic and the people stops and you can hear the singing ride-the-ducks that bringing a tourist to know the city. Every day, the same song (YMCA), in the same place: I think what is a perfect American organization!
It is very good entrance in Fremont, a land of artist and strange people where you can meet Trolls, Rockets, Dinosaurs, and other curiosity, together headquarter of most important software company in the world (Adobe, Google), movies studios and brewery.
Really curious is the statue of Lenin (gift of Slovakia), but more unbelievable is the “gelateria italiana (the ice cream store) in the back of the statue, that build a contradictory nice photo: the serious and politically strong look of Lenin & a tasty, delicious, Italian ice cream. Maybe this is a new way to improve the world: the sweet revolution by Fremont!
mercoledì 15 settembre 2010
il bicchiere rotto
Nella lingua inglese, non dico niente di nuovo, è noto che ci sono 3 pronomi della terza persona singolare, he, she, it; equivalgono ai nostri egli (lui), ella (lei), il terzo pronome ricopre le funzioni di Esso/essa cioè di pronome per gli oggetti, le cose, gli animali.
Fin qui ci siamo.
Altre regola della lingua inglese: occorre sempre mettere un soggetto in qualsiasi frase. Sono pochissimi i casi in cui il soggetto si può omettere.
Ma attenzione, perchè qui viene il bello! In inglese non è possibile dire: “il bicchiere è caduto”, la spiegazione della mia brava “teacher” è molto semplice: “O lo hai rotto tu, o l'ho rotto io o lo ha rotto qualcun altro: in ogni caso NON si può dire che si è rotto da solo
Quando l'insegnante mi ha spiegato questa differenza la mia mente è subito andata indietro nel tempo, a quando ero piccolo, mi sono rivisto (e quante volte!) col faccino finto-costernato, la mani aperte palme in avanti all'altezza del petto che dico: “chi io?, nooooo, si è rotto da solo! Io non c'entro!”
Interessante: come si cresce senza questa possibilità? Come si risolvono qui piccoli drammi legati alle nostre responsabilità sulle cose? Quali altri stratagemmi si devono inventare?
Dopo queste rivisitazioni non ho potuto fare a meno di ricordare anche le interviste ai nostri politici, locali e nazionali. “Chi? Noi? Nooooooooooo, è la crisi!, è il mercato! Sono quelli di prima!
Effettivamente crescere in un paese e una cultura dove le cose non si rompono da sole può essere diverso da un altro dove gli oggetti sono animati (ovviamente da pessime intenzioni).
giovedì 9 settembre 2010
Seattle
Sono stato due mesi a Seattle, letteralmente dall'altra parte del mondo rispetto all'Italia.
Lo stato di Washington (non la capitale degli USA) è il Far-West, il lontano West. Una porta verso oriente (Russia, Corea, Giappone, Cina) e una verso l'Alaska passando attraverso la Columbia Britannica Canadese e Vancouver.
Camminando per Seattle hai sempre sulla testa un aereo che parte o arriva dal trafficatissimo aeroporto. Se guardi il mare, c'è sempre qualche enorme porta-container in arrivo dall'oriente, un paio grandi navi europee che fanno il “pieno di grano” nella pipeline - dove arrivano treni lunghi “venti minuti”, dai granai più grandi del mondo - e più in là, ma sempre in vista, enormi e lussuosissime navi da crociera fanno sosta prima di partire per l'Alaska con il loro carico di ricchi di tutto il mondo. Insomma camminando nella calma dei bellissimi parchi, hai sempre l'impressione che qualcuno dietro di te schiocchi continuamente le dita dicendo “Dai, forza, avanti! Veloce!”
Per due mesi ho studiato quella lingua per noi latini ruvida come un puzzle all'incontrario, che è l'inglese. Ho osservato, visto, ascoltato quasi senza mai parlare. In questi tempi di voci sempre sopra le righe, fa quasi strano pensare di ascoltare, guardare e basta.
Ho molte cose di cui raccontare “per chi vuol ascoltare”. In parallelo su facebook ci saranno le foto a commento di ogni post.
Buona lettura
venerdì 21 maggio 2010
giovedì 13 maggio 2010
mercoledì 12 maggio 2010
Maschere
giovedì 29 aprile 2010
giovedì 25 marzo 2010
Il cercatore di oggetti perduti
Passeggiava ossessivamente sulla sabbia umida
di un lungo e duro inverno della patria
Nelle orecchie il ronzio delle cuffie
Cantava neri rumori di libertà svanite,
perse e sepolte sotto miliardi di innocui granelli di sabbia
Nella mano, una pertica tecnologica,
braccio bionico proteso al mondosondava metalli dell’anima
Ori e argenti cercava,
moltitudini di piombo e rugginosi ferri
trovava.
Intorno il vento spalmava sabbie altrimenti volanti
A offuscare ulteriormente cose,
anime e animali.
Li mentre il cercatore di oggetti perduti ripiegato su se stesso,
dubbioso rallentava
Lui e Lei,
Si stringevano, si amavano, si guardavano
In quella arena fatta nebbia
Si specchiavano in quell'uomo
Cercatori di sentimenti perduti
Camminatori di sentieri ritrovati
Al vento della passione,
ora accecati,
ora di radiosa luce, illuminati
Dolcemente
la tormenta di sabbia li ha portati
sabato 13 marzo 2010
la rivoluzione delle strisce pedonali
venerdì 5 marzo 2010
L'arte di governare
martedì 9 febbraio 2010
leggi ad personam (idiots)
lunedì 8 febbraio 2010
lettera aperta all'amico James Cameron
mercoledì 3 febbraio 2010
Mutazione genetica?
Mutazione genetica?
Dunque questo è un inverno con i fiocchi, nel senso che di neve stavolta ce ne ha fatta davvero tanta. Ebbene, proprio la neve mi ha messo la pulce nell'orecchio, anzi nell'occhio. Quante volte è nevicato? Tre? Quattro? Bè io che cammino almeno un'ora al giorno non ho mai visto, in nessuna ora del giorno, bambini giocare sulla neve.
La cosa mi è venuta in mente ieri pomeriggio vedendo in effetti una mamma giovane con un bimbo (forse setto-otto anni) procedere ridendo verso un collinetta innevata con in mano un sacco di plastica. Giuro, i primi, gli unici che finora ho visto divertirsi con la neve.
Non era così. Solo pochi anni fa una nevicata era subito sottolineata da ragazzini che facevano battaglie a palle di neve, poi al pomeriggio bimbi, ragazzi e anche molti tardo adolescenti … via di corsa armati di slitte, bob (i più fighi), camera d'aria e sacchetti dell'immondizia (noi veri proletari) all'assalto di collinette e discese ripide, … le nostre improbabili piste da olimpiadi invernali.
Senza contare i pupazzi di neve, ogni casa dopo il primo pomeriggio imbiancato ne aveva uno.
Adesso niente, nulla, la neve non piace più. Forse è per questo che appena esprimo la mia meraviglia per la neve c'è chi come l'altro giorno su Facebook che mi invita acidamente a spalarla.
É interessante questo mutamento la neve, da pausa forzata, ma anche divertente, meraviglia visiva, ovattatrice di suoni, svelatrice di tutta la nostra imbranataggine è diventata altro, completamente altro, nel breve volgere di pochi anni.
Maledizione del traffico, disturbatrice della routine quotidiana, killer di parcheggi, perfino assassina feroce a sentire il telegiornale.
Mi chiedo e vi chiedo però. Cosa significheranno, questi cambiamenti di epistemologia quotidiana, nei comportamenti delle nuove generazioni?
lunedì 11 gennaio 2010
Considerate di nuovo se questo è un uomo
Come un rospo a gennaio,
Che si avvia quando è buio e nebbia
E torna quando è nebbia e buio,
Che stramazza a un ciglio di strada,
Odora di kiwi e arance di Natale,
Conosce tre lingue e non ne parla nessuna,
Che contende ai topi la sua cena,
Che ha due ciabatte di scorta,
Una domanda d’asilo,
Una laurea in ingegneria, una fotografia,
E le nasconde sotto i cartoni,
E dorme sui cartoni della Rognetta,
Sotto un tetto d’amianto,
O senza tetto,
Fa il fuoco con la monnezza,
Che se ne sta al posto suo,
In nessun posto,
E se ne sbuca, dopo il tiro a segno,
“Ha sbagliato!”,Certo che ha sbagliato,
L’Uomo NeroDella miseria nera,
Del lavoro nero, e da Milano,
Per l’elemosina di un’attenuante
Scrivono grande: NEGRO,
Scartato da un caporale,
Sputato da un povero cristo locale,
Picchiato dai suoi padroni,
Braccato dai loro cani,
Che invidia i vostri cani,
Che invidia la galera
(Un buon posto per impiccarsi)
Che piscia coi cani,
Che azzanna i cani senza padrone,
Che vive tra un No e un No,
Tra un Comune commissariato per mafia
E un Centro di Ultima Accoglienza,
E quando muore, una colletta
Dei suoi fratelli a un euro all’ora
Lo rimanda oltre il mare, oltre il deserto
Alla sua terra –“A quel paese!”
Meditate che questo è stato,
Che questo è ora,
Che Stato è questo,
Rileggete i vostri saggetti sul Problema
Voi che adottate a distanza
Di sicurezza, in Congo, in Guatemala,
E scrivete al calduccio, né di qua né di là,
Nè bontà, roba da Caritas, nè
Brutalità, roba da affari interni,
Tiepidi, come una berretta da notte,
E distogliete gli occhi da questa
Che non è una donna
Da questo che non è un uomo
Che non ha una donna
E i figli, se ha figli, sono distanti,
E pregate di nuovo che i vostri nati
Non torcano il viso da voi.